venerdì 26 giugno 2015

Col proprio passo


Ricordo i pomeriggi di maggio e luglio trascorsi a guardare il Giro d’Italia e il Tour de France. Ricordo gli scatti di Pantani che infiammavano la corsa e la rendevano più appassionante. Ricordo il commento del telecronista che metteva in guardia gli inseguitori di turno dal rispondere agli arrembaggi del Pirata. L’unica strategia per gli inseguitori era mantenere la calma, continuare a pedalare e non affannarsi per raggiungere il più forte degli scalatori. Non tutti, però, erano capaci di continuare la loro azione salendo col proprio passo; qualcuno si faceva prendere dal desiderio di accorciare subito le distanze e, magari, in principio ci riusciva pure, ma poi, allo scatto successivo era costretto ad arrendersi e capitolava.

Naturalmente, io facevo il tifo per Pantani ed era una gioia vederlo arrivare tutto solo al traguardo dopo un’incredibile salita. Ma al termine di quelle tappe, ogni ciclista era per me un vincitore: essere arrivato al traguardo dopo aver affrontato un percorso così faticoso, era una vittoria, a prescindere dal piazzamento in classifica!

Penso che anche nella vita sia importante salire col proprio passo, andare decisi verso la meta, ma senza affannarsi. Il mio non vuole essere un incoraggiamento a camminare come vogliamo, ma un invito a cercare il passo giusto, quello consentito dalle capacità e dalle forze che ciascuno ha.

In questa ricerca possiamo essere aiutati da un buon allenatore, ma anche dalle persone che abbiamo intorno; infatti, l’altro, con cui entriamo quotidianamente in relazione, ci aiuta a conoscerci.

Nella relazione con l’altro, scopriamo lati di noi che altrimenti non potremmo conoscere: se fossi l’unico abitante di un’isola, potrei pensare di essere il migliore degli uomini e potrei attribuirmi tutti i pregi e nessun difetto, dato che nessuno potrebbe smentirmi. Ma se un altro venisse a condividere con me la vita sull’isola, nella relazione con lui emergerebbero pregi e difetti di entrambi.

Il nostro passo non è quello che, di volta in volta, ci va di tenere, ma quello che possiamo tenere: uno scalatore non va al passo di un velocista …

Può capitarci di non riuscire a tenere il passo di altri, ma, in tal caso, è bene non lasciarci andare a pensieri che ci abbattono o ci spingono alla resa:
«Non sarò mai capace di raggiungerlo!».
«Non sarò mai come lui!».
«Non saprò mai fare le cose come le fa lui!» ...

L’esempio buono degli altri deve essere, invece, un costante incoraggiamento a dare tutto quel che siamo, a mettercela tutta!

In un tempo in cui quasi tutto è ad alta velocità, potrei essere tentato di inventare un’evangelizzazione ad alta velocità, dove le iniziative si susseguono a ritmi elevati e non c’è più la possibilità di fissare lo sguardo sui volti delle persone; come quando, viaggiando in treno, si attraversa una stazione e si vedono scorrere le persone sulla banchina senza riuscire a distinguerne bene le figure.

Aiutami, Signore, a saper accordare il mio passo a quello dell’uomo che incontro lungo il cammino, per avere il tempo di guardarlo negli occhi, riconoscerlo e raccontargli la buona notizia. [dGL]

mercoledì 24 giugno 2015

Più grande

«Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso,
prenda la sua croce
e mi segua». (Mc 8,34)

Perché voglio venire dietro a Te, Gesù?

Mi pare che in questa domanda sta la forza per fare quello che Tu dici dopo.
Non è facile rinnegare se stessi, dimenticarsi di sé, tendere al bene dell’altro, impegnarsi gratuitamente per la sua felicità senza aspettarsi una gratificazione, una ricompensa, un riconoscimento, un semplice «grazie». Per rinnegare me stesso ci deve essere qualcosa che mi fa dimenticare di me, qualcosa di così importante, di così bello, di così buono da attrarmi totalmente, da non lasciarmi più il tempo di pensare a me.

Per dimenticare me, Signore, devo volgere tutto me stesso a Te!

Sono affamato di vita buona.
Quella vita che sei Tu e che vedo realizzata nell’esistenza dei santi. Essi hanno trovato il tesoro, la perla preziosa, la parte migliore e hanno lasciato tutto il resto, hanno rinnegato se stessi, hanno iniziato a seguirti, mettendo Te al centro della loro vita.

La Tua croce è il luogo in cui si rivela l’amore più grande.
Solo guardandola posso comprendere qual è la mia croce. Non genericamente un qualche dolore, ma l’essere fedeli fino alla fine al Padre, vivere da cristiani, amare come Tu ci ami, sempre e senza condizioni. [dGL]

giovedì 18 giugno 2015

Ardere di gioia

«La strada che va a Emmaus quante volte l’ho percorsa accompagnato a gente che non mi riconosceva, non avevano mai sentito il mio nome, ma il loro cuore ardeva, mentre spiegavo loro il libro della vita e, perché non dirlo, ardeva anche a me il cuore nella gioia della compagnia». [Hans Urs von Balthasar, Il cuore del mondo, Jaca Book, p. 113]  

Seguirti, Signore, è venire con Te sulla strada che va a Emmaus.
Vuol dire avvicinarsi, accompagnarsi all’uomo non con la pretesa di essere riconosciuto, ma con la certezza di poter essere di aiuto.

Tu, Signore, lo fai per amore e non per farti pubblicità.
Ci educhi e sai aver pazienza con noi perché ci ami e quindi vuoi custodirci come il più prezioso dei doni. Tu non ci rottami, ma fino alla fine offri la tua vita perché possiamo salvarci.

A noi che siamo tuoi discepoli, chiedi di avere i tuoi stessi sentimenti, di farci muovere dal tuo cuore, di imparare da Te a uscire incontro al fratello.

Ci siamo abituati al tiepido e forse non sempre ti cerchiamo come ti cercherebbe un assetato; però sappiamo ancora apprezzare il calore di un bel fuoco vivace, soprattutto quando intorno ci sembra di non trovare nulla che possa sciogliere il gelo.

Tu, accompagnandoci lungo la via, fai ardere il nostro cuore.
E un cuore non arde solo per sé: diffonde gioia, scalda e fa ardere altri cuori. [dGL]

martedì 16 giugno 2015

Il battito del cuore – da Hans Urs von Balthasar, Il cuore del mondo, Jaca Book

I fili corrono, il telaio del mondo fila il suo modello infinito, le linfe circolano nelle arterie dell’umanità, ma un immenso volano mette in moto ogni cosa, un invisibile palpito spinge ogni cosa avanti. Inizia la circolazione dell’amore. Le pale di Dio discendono in profondità, estraggono il fango grondante dagli inferni delle anime e lo trasferiscono nel cuore che è il centro. Il sangue avvelenato viene assorbito, viene filtrato, e mandato poi avanti come un sangue rosa ringiovanito. Tutto ciò che è affaticato e pesante viene immerso nel bagno salvifico della misericordia, depressione e disperazione vengono versate nel cuore che le accoglie.

Questo cuore vive di servizio. Non vuole glorificare se stesso ma il Padre soltanto. Non parla del proprio amore. Fa il suo servizio in modo che non lo si avverte, a tal punto che quasi lo si dimentica, come noi dimentichiamo il nostro cuore nel groviglio degli affari. Pensiamo che la vita vive da sé. Nessuno ascolta, neppure un secondo, il pulsare del suo cuore, né vede le ore ed ore che esso gli dona. Si è abituato al suo battere lieve, al suo eterno ondeggiare che batte da dentro alla sponda della sua coscienza. Lo considera un destino, la natura, come il corso delle cose solite. Si è abituato all’amore. Non ode più il dito che picchia giorno e notte alla porta della sua anima, questa domanda, questa richiesta di entrare. [Hans Urs von Balthasar, Il cuore del mondo, Jaca Book]

sabato 13 giugno 2015

Di cuore

Desidero offrire una semplice cordialità:
quella cordialità che fa sentire a casa, anche in mezzo a persone che non si conoscono;
quella cordialità che permette all’altro di essere se stesso;
quella cordialità che è vicinanza a ogni altro;
quella cordialità che accoglie ogni altro;
quella cordialità che sa sorridere a ogni altro;
quella cordialità che è disponibilità a far crescere l’altro, a riconoscergli il suo talento, a concedergli il suo spazio;
quella cordialità che è sguardo limpido, senza giudizi, senza doppiezze;
quella cordialità che facilita la collaborazione di più persone;
quella cordialità che favorisce il dialogo;
quella cordialità che sa ascoltare.

Desidero offrire una semplice cordialità:
quella cordialità che, per il fatto che ci diciamo «cristiani», diamo sempre per scontata e poi, un bel giorno, ci accorgiamo che in parrocchia e in famiglia è da un pezzo che se n’è andata …  [dGL]

lunedì 8 giugno 2015

Il piccolo principe

Al termine della processione del Corpus Domini, un bambino venne verso di me ridendo; aveva i capelli d’oro. Lo riconobbi subito, tanta era stata la bravura dell’autore nel descriverlo.

Mi disse che la processione era stata molto bella; in modo particolare gli era piaciuto quando il tramonto del sole ci ha colto sul viale che ci avrebbe riportato in chiesa. Il paesaggio intorno veniva accarezzato dagli ultimi raggi di luce e per lui era stato confortante avviarsi verso la notte con la Presenza amica del Signore Gesù. Disse che era la prima volta che gli capitava, eppure erano anni che viaggiava ed era stato su molti pianeti e aveva partecipato a molte processioni …

Insomma era felice, come se avesse ricevuto il più grande regalo.

Che strano, pensai, questo piccolo principe: si rallegra delle cose che vive nel momento in cui le vive; noi, normalmente, rimandiamo la felicità al momento in cui le cose saranno cambiate e così rischiamo di non rallegrarci mai ... [dGL]

mercoledì 3 giugno 2015

Tu seguimi (Gv 21,22)

Quando penso alla vocazione, rischio di spostare l’attenzione su colui che viene chiamato e sulla scelta che egli deve compiere: ascoltare la voce che chiama e rispondere positivamente, oppure far finta di niente?

È in quei momenti, però, che alcuni brani della Scrittura mi ricordano che bisogna sempre tener conto di Colui che ci chiama a essere suoi discepoli, cioè a essere cristiani!

In Mc 10,17-27, ad esempio, si parla del desiderio di un uomo di ereditare la vita eterna. Desiderio che ha dato la forza a quell’uomo di osservare i comandamenti fin dalla sua giovinezza (Mc 10,20). Gesù risponde alla sua domanda fissando lo sguardo su di lui, amandolo e proponendogli l’unica cosa che ancora gli manca per ereditare la vita eterna: «… va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mc 10,21).

«Seguimi!» è la risposta di Gesù al desiderio di quell’uomo e di ogni uomo.

La vocazione è, dunque, la risposta di Dio alla mia domanda di vita eterna!

«Seguimi!» vuol dire «fai la mia stessa strada», «vieni con me», «impara da me», «fidati di me».

Ci sarà una via da percorrere e non sarà tutto semplice e in discesa, ma su quella via non sarai mai solo: il Maestro buono sarà con te, ti guiderà, si prenderà cura di te, ti nutrirà, ti proteggerà e ti riempirà il cuore della Sua gioia.

Seguendolo, lasci quello che hai e che non è stato in grado di darti la felicità piena, e diventi erede di qualcosa di grande, del tesoro, della promessa, della vita eterna.

Seguendolo, impari a fidarti di Lui.

Seguendolo, ti accorgi che la tua vita è nelle sue mani e che non ti manca nulla, se stai con Lui.

«Tu seguimi» (Gv 21,22), dice Gesù a Pietro dopo la risurrezione.

Gesù si rivolge a Pietro, a uno che ha già vissuto con Lui, a uno che è stato suo discepolo fin dall’inizio. Pietro ha fatto esperienza di Gesù; ha visto che Gesù guarisce gli ammalati, riempie le reti di pesci, moltiplica i pani, risuscita i morti, accoglie e perdona i peccatori, ama fino a dare la vita e risorge sconfiggendo la morte!

Pietro sa che se terrà lo sguardo fisso su Gesù – e tenere lo sguardo fisso su Gesù vuol dire proprio seguirlo – non avrà a temere alcun male e non si smarrirà nelle tempeste che dovrà affrontare. Il suo cuore non si perderà, ma resterà saldo e sarà in grado di confermare i suoi fratelli, anche quando in gioco ci sarà la sua stessa vita.

Allora la parola vocazione non deve metterci addosso preoccupazioni o paure per quello che accadrà dopo, come se ci venisse chiesto di fare un salto nel vuoto!

La parola vocazione deve, invece, ravvivare in noi la fiducia in Qualcuno che si è rivelato affidabile, in Qualcuno che sempre ci precede indicandoci la via! [dGL]