lunedì 18 maggio 2015

Come una vera squadra

È il 13 maggio 2015.
Nelle nostre parrocchie si prega il Rosario per le famiglie; a Madrid si gioca, invece, il ritorno della semifinale di Champions League tra Real Madrid e Juventus.

Da pochi minuti abbiamo terminato la preghiera in Duomo; guardo sul cellulare il parziale della partita: 1 a 0 per il Real. Mi fermo sul sagrato della Chiesa a salutare qualche parrocchiano e poi, avviandomi verso casa, consulto di nuovo il cellulare: la Juventus ha pareggiato.

Mancano circa trenta minuti alla fine della partita; siamo a Madrid e gli avversari sono i campioni uscenti.

«Ci sarà da soffrire», penso aprendo il portone di casa e mi metto a leggere qualcosa per ingannare il tempo in attesa del risultato finale. Al 90° siamo in parità e la Juventus conquista meritatamente la finale di Berlino!

La mia è una gioia contenuta, infatti non sono juventino, ma è pur sempre gioia: perché è una squadra italiana e soprattutto perché nella Juve di quest’anno mi pare di poter vedere le caratteristiche di una vera squadra.

Una vera squadra non è composta da un gruppo di singoli che giocano per mettere in mostra il loro talento, ma di compagni che si cercano e si aiutano. Una vera squadra non è necessariamente composta dagli undici migliori giocatori sul mercato, ma da persone che hanno messo a disposizione i loro talenti per raggiungere un obiettivo comune.

Questa Juve mi fa pensare alla nostra parrocchia.

Anche le nostre azioni dovrebbero essere espressione del nostro essere squadra. Non ci siamo scelti, così come in una squadra di calcio non sono i giocatori a scegliersi per giocare insieme, ma sono l’allenatore e i dirigenti a selezionare la rosa a inizio stagione.

In parrocchia non giochiamo da soli, ognuno secondo il suo schema di gioco, ognuno per i suoi obiettivi. In parrocchia dovremmo giocare per raggiungere un obiettivo che è comune: la santità, la vita nuova nel Risorto!

In parrocchia non sono i successi a dare valore a un’esperienza; al contrario è l’esperienza del Risorto a dare senso e valore a tutte le iniziative parrocchiali, a tutte le azioni pastorali, anche a quelle più geniali!

In parrocchia non si vince con le azioni personali, ma con azioni corali, quelle azioni che riescono a coinvolgere il maggior numero di persone. E lo schema migliore è quello che permette a ciascuno di sentirsi amato e di esprimersi al meglio per il bene della comunità!

In questa Juve, indubbiamente, ci sono molti talenti e veri fuoriclasse, ma soprattutto c’è un forte spirito di squadra: quello spirito che nella nostra parrocchia ci rende pronti a soccorrere il compagno in difficoltà, a dare una mano a difendere, anche se siamo attaccanti e la difesa spetta ai difensori e al portiere, a non far pesare all’altro e alla comunità le sue mancanze e i suoi fallimenti.

È lo Spirito Santo ad animare e guidare la nostra vita cristiana; è lo Spirito Santo a fare di noi un solo corpo!

Cari lettori, questo giornalino parrocchiale vuole essere il canto di un bel coro! Sfogliando le sue pagine troverete tante voci impegnate a raccontare una stessa esperienza: la gioia di stare con Gesù.

E così chi ci vede, ci ascolta, ci legge, ci incontra,… si innamorerà della lieta armonia che dalla nostra Chiesa si espande fino agli estremi confini della terra! [dGL]


(Editoriale per Il Cicalino, giornalino parrocchiale)

sabato 9 maggio 2015

Santo

La veste del santo non era da occasione, come quelle che si indossano nelle feste e poi al termine della serata si ripongono nell’armadio.
Era di stoffa resistente, non eccessivamente colorata, non dava nell’occhio perché la carità, la misericordia e l’umiltà non han bisogno d’essere ostentate.

La veste del santo si poteva tagliare, come il mantello di Martino, ma miracolosamente restava sufficiente a coprire entrambi: benefattore e beneficiato.
Era di una stoffa che ogni taglio rendeva più bella.

La veste del santo gli permetteva di presentarsi al cospetto dei potenti e dei più poveri, trovandosi a suo agio in entrambe le situazioni.
Era di una stoffa che non si aveva paura di sporcare; era adatta per camminare nella polvere della strada e per salire i gradini solenni dell’altare.

La veste del santo la può indossare chiunque; basta fidarsi del Cristo risorto che gratuitamente la dona a ciascuno con il Battesimo! [dGL]

lunedì 4 maggio 2015

A bordo campo


A qualche minuto dal fischio d’inizio, il mister mi chiama e mi fa sedere in panchina.

Da lì la partita si vede in modo diverso.
Me ne accorgo appena il gioco riprende. La nostra squadra lotta su ogni pallone, come se in palio ci fosse la Coppa dei Campioni.

Mi tornano in mente le partite al campetto, quando ci si accendeva per una punizione o un calcio di rigore o un goal irregolare. C’era sempre uno che, a un certo punto, ostentando magnanimità e maturità, diceva: «Avete ragione voi! Prendetevi questo goal: tanto mica c’è in palio lo scudetto!».

Ed era vero: non si vinceva lo scudetto, ma la buona riuscita del gioco richiedeva a ciascun giocatore di dare il massimo e la partita si animava, si colorava di un inaspettato agonismo.

Succede perché il gioco va interpretato in modo serio sia che si stia giocando nel piccolo campetto parrocchiale, sia che ci si trovi a giocare su un campo regolamentare. Altrimenti non ci si diverte. La coscienza di essersi misurati contro un avversario di buon livello, che ha messo in campo tutta la sua abilità e bravura, dà soddisfazione, anche quando la partita non si è conclusa con una vittoria.

Nel frattempo sul terreno di gioco un pallone si alza a campanile e Lorenzo sale in alto per colpirlo di testa, anticipando l’avversario. Per un momento sembra aver vinto la forza di gravità e colpisce il pallone allontanandolo dall’area di rigore, ma poi non può evitare di tornare a terra cadendo in modo scomposto. Guardo il mister e gli dico: «Così si fa male!». Lorenzo si rialza dolorante, ma riprende a giocare.

Guardo e imparo a partecipare all’azione, a concentrarmi su quello che sto vivendo senza anticipare il futuro, senza distrarmi proiettandomi verso ciò che potrebbe accadere dopo. Ora devo ascoltare, pensare, vivere, accompagnare,… domani penserò, ascolterò, accompagnerò, vivrò qualcos’altro.

I ragazzi stanno dando il massimo in questa ultima partita; il primo posto è ormai lontano, ma non mancano grinta ed entusiasmo! Nessuno vuole stare a guardare e si corre dietro ogni pallone.

Del calcio visto in TV mi è rimasto in mente ben poco: non ricordo i goal di Van Basten e saprei descrivere a memoria soltanto il goal di Maradona contro l’Inghilterra, quando partì da centrocampo e il goal di Pelé nel film Fuga per la vittoria. Ricordo bene, invece alcuni episodi di calcio giovanile o parrocchiale. Ricordo le giocate di un mio compagno di squadra nella storica Unione Sportiva Folgore, società di calcio di San Benedetto del Tronto; le partitelle in seminario coi professori di teologia; la rovesciata di un ragazzo della mia parrocchia durante un torneo parrocchiale: gesto atletico perfetto e palla che si stampa sulla traversa a portiere battuto. E adesso nell’album dei ricordi incancellabili entra  l’ultima partita del campionato CSI under 16 del Real Ripatransone, una squadra sognata dai ragazzi della parrocchia che è diventata reale e … regale!

È stata Real non perché ha sbaragliato gli avversari imponendo il suo gioco, ma perché s’è battuta con correttezza e lealtà diventando squadra Domenica dopo Domenica!

Questo dovrebbe essere il senso dello sport praticato in parrocchia: un’occasione per aiutare i ragazzi a conoscersi, stimarsi, sostenersi a vicenda e raggiungere un obiettivo comune imparando a fidarsi dei più grandi, che si sono messi generosamente a disposizione per allenarli e accompagnarli nelle partite in casa e nelle trasferte. [dGL]