sabato 31 gennaio 2015

25 gennaio 2015

Cari lettori,
non è mia abitudine pubblicare le lettere che ricevo, ma in questo caso ho pensato di fare un’eccezione. Come vi accorgerete subito, il messaggio proviene da un passato remoto. Lo condivido con voi perché mi sembra sempre valido nei suoi contenuti. Spero che l’idea non vi dispiaccia e che il testo sia edificante per voi tutti, come lo è per me!


Caro don Gian Luca,
nell’apprestarvi ad assumere codesto nuovo incarico di curato, affidatovi dal mio illustrissimo confratello, il reverendissimo monsignor Carlo Bresciani, vi giungano graditi la mia benedizione e qualche paterno consiglio che potrebbe esservi utile nell’esercizio del vostro ministero.

Ricorderete sicuramente il giorno della vostra ordinazione, la grazia e l’amore che il Signore infuse nel vostro cuore e quella promessa che avete fatto di seguirlo, ovunque Egli avrebbe voluto condurvi. La via del Vangelo reca al martirio e la vostra giovane età vi fa sinceramente desiderare una fedeltà radicale. Questo vostro desiderio vi aiuterà a restare saldo nelle difficoltà; ben sapete, infatti, che i doveri annessi al ministero non sono liberi da ogni ostacolo o immuni da ogni pericolo e che la Chiesa non vi ha fatto sicurtà della vita! Essa vi ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi.

Vi capiterà di incontrare persone a cui potrebbe dispiacere ciò che a voi è comandato. Quando accadrà, non perdetevi d’animo: ricordatevi che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere. Se non crediamo in questo, che cosa predichiamo? Di che cosa siamo maestri? Qual è la buona notizia che annunciamo ai poveri? Un giorno non ci sarà domandato se abbiamo saputo fare stare a dovere i potenti; ma ci sarà ben domandato se abbiamo adoperato i mezzi a nostra disposizione per compiere la missione, anche quando avessero voluto impedircelo.

Ora non abbiate timore: se è vero che nel vostro ministero v’è necessario il coraggio, per adempir le vostre obbligazioni, è pur vero che c’è Chi ve lo darà infallibilmente, quando glielo chiediate! Vi sovvenga l’esempio dei santi martiri. Credete voi che tutti quei milioni di martiri avessero naturalmente coraggio? Che non facessero naturalmente nessun conto della vita? Tanti giovinetti che cominciavano a gustarla, tanti vecchi avvezzi a rammaricarsi che fosse già vicina a finire, tante donzelle, tante spose, tante madri? Tutti hanno avuto coraggio; perché il coraggio era necessario, ed essi confidavano.

Se amerete il vostro gregge, se riporrete in esso il vostro cuore, le vostre cure, le vostre delizie, il coraggio non vi mancherà al bisogno: l’amore è intrepido.
Ciò che dovete fare, figliuolo, è amare; amare e pregare.
Insieme con le dottrine, date agli altri l’esempio e non rendetevi simile al dottor della legge, che carica gli altri di pesi che non posson portare, e che lui non toccherebbe con un dito.

Teniamo, dunque, accese le nostre lampade e presentiamo a Dio i nostri cuori miseri, vòti, perché Gli piaccia riempirli di quella carità, che ripara al passato, che assicura l’avvenire, che teme e confida, piange e si rallegra, con sapienza; che diventa in ogni caso la virtù di cui abbiamo bisogno.

Nel salutarvi, auguro a voi e alla vostra parrocchia ogni bene; il Buon Pastore vi guidi e vi protegga sempre!

+ Card. Federigo Borromeo,
Arcivescovo di Milano



N.B.: Il testo della lettera si ispira ai capitoli XXV e XXVI de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Nel testo sono presenti molte citazioni tratte dal romanzo. Non sono state messe tra virgolette perché avrebbero svelato fin dall’inizio la finzione, ma potete facilmente ritrovarle leggendo i due capitoli sopra indicati.
Ho composto questa lettera perché pensavo che sarebbe stato utile raccogliere i consigli pastorali del card. Borromeo a don Abbondio. [dGL]

Oggi leggi… (42)

Mc 7,24-30. Portiamo a Gesù ciò che abbiamo di più caro e troviamo un’accoglienza e un ascolto che guariscono.

venerdì 30 gennaio 2015

Oggi leggi… (41)

Mc 7,14-23. Teniamo in ordine il nostro cuore, perché se esso è in disordine, noi confondiamo il bene col male, il secondario con l’essenziale, la volontà di Dio con le tradizioni degli uomini.

giovedì 29 gennaio 2015

Oggi leggi… (40)

Mc 7,1-13. Cuore, anima, mente e forza, tutto coinvolge l’amore di Dio. Se lo conosciamo, non ci basta il formalismo.

mercoledì 28 gennaio 2015

Oggi leggi… (39)

Mc 6,53-56. Non importa il motivo per cui uno accorre; conta la fiducia che si ripone in Gesù! È la fede in Lui a salvarci!

martedì 27 gennaio 2015

Oggi leggi… (38)

Mc 6,45-52. Anche quando sembra assente, Gesù è accanto a noi. Riconoscerlo presente, fa svanire la paura e riporta la pace!

lunedì 26 gennaio 2015

Il buon esempio

Cari padri e madri,
qualche giorno fa ho visto che sul calendario di Frate Indovino dello scorso anno, c’era una fiaba dei fratelli Grimm che avevo sentito raccontare a casa quando ero piccolo.

Vorrei condividerla con voi:

«C’era una volta un uomo molto anziano che camminava a fatica; le ginocchia gli tremavano, ci vedeva poco e non aveva più neanche un dente. Quando sedeva a tavola, reggeva a malapena il cucchiaio e versava sempre il brodo sulla tovaglia; spesso gliene colava anche dall’angolo della bocca. Il figlio e la nuora provavano disgusto, perciò costringevano il vecchio a sedersi nell’angolo dietro la stufa e gli davano da mangiare in una brutta ciotola di terracotta. Il poveretto guardava sconsolato il loro tavolo, con gli occhi lucidi. Un giorno le sue mani, sempre tremanti, non riuscirono a reggere la ciotola, che cadde a terra e andò in pezzi. La donna lo rimproverò, ma il vecchio non disse nulla e sospirò. Allora per pochi soldi gli comprarono una ciotola di legno. Mentre sedevano in cucina, si accorsero che il figlioletto di quattro anni armeggiava per terra con dei pezzetti di terracotta. “Che cosa stai combinando?” gli domandò il padre. “Ecco… – rispose il bambino – sto accomodando la ciotola per farci mangiare te e la mamma quando sarete vecchi”. I genitori allora si guardarono e scoppiarono in lacrime. Fecero subito sedere il vecchio nonno al loro tavolo e da quel giorno lo lasciarono mangiare sempre assieme a loro. E quando versava il brodo non dicevano più nulla».

Oltre a richiamarci alcuni dei valori fondamentali su cui poggia la nostra vita, il racconto mette in luce l’importanza del buon esempio.

In tono canzonatorio si dice:
«Fa’ quello che il prete dice e non quello che il prete fa».

Mi chiedo, però, se tra qualche anno non vi troverete a raccomandare ai vostri figli: «Fa’ quello che il babbo o la mamma dice e non quello che il babbo o la mamma fa».

Sicuramente non capiterà a casa vostra l’episodio narrato dai fratelli Grimm, ma tutti sappiamo bene che i figli tendono a riprodurre gesti e modi di vivere e di pensare che vedono in chi li educa: danno importanza a cose futili e superficiali e trascurano quelle profonde ed essenziali, fumano, bevono, parlano al telefono mentre guidano, dicono parolacce, giudicano e chiacchierano di tutto e di tutti, fanno fatica a coinvolgersi nella vita civile, gettano i rifiuti dove capita (tanto, poi, c’è uno che è pagato per pulire, aggiustare, mettere in ordine dove io ho sporcato, rotto, messo in disordine), non entrano più in chiesa e nutrono una sfiducia nei confronti della Chiesa, sono facilmente irritabili e impazienti, non hanno rispetto delle forze dell’ordine e delle regole in generale, scendono facilmente a compromessi perché quel che conta è arrivare al successo, al potere, al denaro,…

Cari padri e madri,
non vi sto bacchettando; desidero solo farvi capire che è necessario essere esempi positivi e non soltanto buoni predicatori. I piccoli vi guardano come modelli di vita ed è naturale per loro fidarsi della vostra esperienza, dei vostri consigli, del vostro modo di affrontare il quotidiano.

I ragazzi hanno bisogno di vedere quanto sono importanti per noi adulti i valori dell’equilibrio, della moderazione, dell’onestà, della lealtà, delle buone relazioni, della pace, della sincerità, del sacrificio, della laboriosità, della fedeltà alla parola data, del rispetto dell’altro, anche quando è anziano, malato, povero, straniero, carcerato,…

Noi cristiani ritroviamo questi valori nella vita dei Santi, uomini e donne come noi che hanno deciso di seguire Gesù da vicino. È alla scuola dei Santi che possiamo scoprire il segreto della felicità, della gioia!

Se i nostri ragazzi ci vedranno vivere di questi valori, capiranno che la vita buona è essere dono gli uni per gli altri. Lo vedranno in noi e vorranno essere come noi! [dGL]

Oggi leggi… (37)

Mc 6,37-44. Non ci è chiesto di fare un miracolo, ma di vedere quel che abbiamo. Il nostro tutto condiviso basta al Signore per sfamare tutti gli uomini.

domenica 25 gennaio 2015

Libri improbabili (3)

Le previsioni meteo annunciano neve.
In questi casi quello che ci vuole è un buon libro da leggere davanti a un bel fuocherello acceso!
Mi lascio guidare dal vecchio amico Johannes, molto felice di offrirmi i suoi consigli!

Buona lettura! [dGL]

rubrica a cura di Johannes de Silentio


Titolo: Come nuovo.
Autore: Giancarlo Manicotti
Editore: Archivio Capitolare, 2015
Numero di pagine: 278.

Il libro in un TWEET:
Insoliti rumori sospetti. Sarà troppo tardi? La prima pubblicazione dall’@archiviocapitolare col vivo desiderio di tornare #comenuovo! J

La recensione:
«Dal suo ufficio, don Gennaro controllava sui monitor quello che avveniva al piano terra. Sentiva e osservava con attenzione ogni movimento dei suoi ignari ospiti. La posta in gioco era molto alta, ma il rischio andava corso: troppe erano state le perdite e occorreva mettervi riparo, prima che tutto fosse ridotto a segatura».
Se pensate di trovarvi nel bel mezzo di un gangster book, o all’interno di una spy story, vi sbagliate di grosso: siete in un luogo che ha a che fare col sacro. Si tratta, infatti, di uno degli episodi raccolti nel nuovo libro di Giancarlo Manicotti. L’autore, un autorevole restauratore, ci offre uno spaccato della vita quotidiana in alcune delle più antiche sacrestie italiane.
La grande abilità narrativa consente all’autore di comporre un saggio a partire dalle tante esperienze che hanno arricchito il suo curriculum vitae. Così a noi lettori viene offerto un testo che si legge come un romanzo, ma che, in realtà, è una vera e propria trattazione scientifica sulle tecniche del restauro.
Da questo libro ha preso spunto la serie televisiva Sacrestie da incubo che andrà in onda dal prossimo settembre; in essa lo stesso Manicotti visiterà alcune chiese, aiutando i parroci a mettere ordine tra i paramenti e gli arredi sacri custoditi in armadi antichi e spesso irrimediabilmente infestati dai tarli.
In alcuni casi l’intervento dell’esperto giunge in ritardo, in altri, invece, attraverso l’utilizzo di moderne attrezzature, il tutto viene salvato e restituito all’originale splendore.
Degno di nota e sempre attuale è il motto del buon Manicotti: «In sacrestia la realtà supera la fantasia!».



Nota bene: il libro e la recensione sono frutto di fantasia.

sabato 24 gennaio 2015

Oggi leggi… (36)

Mc 6,34-37. Quanto abbiamo bisogno di un pastore! Gesù è il nostro buon Pastore e ci chiama perché noi impariamo da Lui a prenderci cura gli uni degli altri.

venerdì 23 gennaio 2015

Oggi leggi… (35)

Mc 6,30-33. La missione è riferimento a Colui che ci ha inviato. È fondamentale custodire l’intimità con Gesù e dialogare con Lui nella preghiera.

giovedì 22 gennaio 2015

Oggi leggi… (34)

Mc 6,21-29. Il nostro deciderci per Gesù ci fa Suoi testimoni. Nella vita Egli non ci lascerà mai soli e ci darà la forza di seguirlo anche nel martirio.

martedì 20 gennaio 2015

19 gennaio 2015 – II incontro di formazione per i catechisti

«Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro» (1Ts 1,2-3)

Capitolo II – Annunciare il Vangelo di Gesù

1.           Il Vangelo (buona notizia) c’entra con la mia vita.

Abbiamo da poco celebrato la memoria di Sant’Antonio abate (17 gennaio). Vorrei partire proprio dalla storia di questo Santo per cominciare questa riflessione su Annunciare il Vangelo di Gesù, secondo capitolo degli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia. Sant’Atanasio nella sua Vita di Sant’Antonio, ci presenta un giovane che va interrogandosi «sulla ragione che aveva indotto gli apostoli a seguire il Salvatore, dopo aver abbandonato ogni cosa». Scrive S. Atanasio:
«Meditando su queste cose, entrò in chiesa, proprio mentre si leggeva il vangelo e sentì che il Signore aveva detto a quel ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli” (Mt 19,21). Allora Antonio, come se il racconto della vita dei santi gli fosse stato presentato dalla Provvidenza e quelle parole fossero state lette proprio per lui, uscì subito dalla chiesa, diede in dono agli abitanti del paese le proprietà che aveva ereditato dalla sua famiglia – possedeva infatti trecento campi molto fertili e ameni…» (Vita di Sant’Antonio, Ufficio delle letture del 17 gennaio, memoria di Sant’Antonio abate).
Ho pensato di leggervi questo brano della vita di Antonio perché mi sembra che possa indicarci il punto di partenza: per evangelizzare, dobbiamo essere persone che si lasciano evangelizzare. Dobbiamo, come Antonio e tanti altri santi, aver trovato il tesoro, la perla preziosa e dobbiamo esserci decisi a vivere in funzione di quel tesoro che abbiamo trovato o ci è stato consegnato. Antonio intraprende un cammino radicale e pieno di pericoli e insidie; ma lo intraprende perché sperimenta continuamente che quella è la via della gioia, della perfezione – «Se vuoi essere perfetto,…».

L’annuncio è convincente se noi abbiamo sperimentato quello che annunciamo. Altrimenti balbettiamo qualcosa, cerchiamo di mostrarci sicuri, ma si vede subito che non ci anima una passione, si nota che il fuoco non ci arde dentro.

Un’immagine che vorrei presentarvi in questo contesto è quella degli occhiali da vista. Io li porto da tanti anni. Gli occhiali mi sono utili per vedere bene quello che mi circonda, per riconoscere le persone e vedere più lontano, oppure mi aiutano a mettere a fuoco le lettere di un giornale perché io possa leggere quello che c’è scritto,…
Gli occhiali, però, si sporcano e ogni tanto hanno bisogno di essere puliti…

Ora vi chiedo di fare un salto dagli occhiali alla Bibbia e precisamente al capitolo 24 del Vangelo di Luca, là dove si racconta dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35).

Avevano gli occhiali sporchi quel giorno, talmente sporchi da essere inutili. Me le immagino così le due lenti: una annerita dal dramma della Crocifissione («… i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso», v. 20), l’altra sporcata dalle attese deluse («Noi speravamo che…», v. 21).
Con due lenti simili non si vede niente, nemmeno quando tutto è illuminato da un bel sole, nemmeno quando intorno a noi avvengono veri e propri annunci della Sua Risurrezione («Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo», vv. 22-23)!

Abbiamo bisogno di qualcuno che pulisca costantemente i nostri occhiali, perché altrimenti rischiamo di non vedere il bello della vita, impediti non da una reale impossibilità esterna, ma dalla nostra mancanza di speranza, dalla nostra mancanza di fede.
Abbiamo bisogno che il Risorto ci affianchi e, spiegandoci le Scritture, ci aiuti a riconoscere la Sua Presenza in ogni momento e in ogni ambito della nostra esistenza.

Don Valentino Bulgarelli scrive:
«Che cosa abbiamo come Chiesa da dire, da consegnare, da offrire all’umano di oggi, perché la sua vita sia vera, bella e buona?
La Bibbia ci parla di un Dio che partecipa alla vita, illuminandola, trasformandola e orientandola in una direzione nuova, svelando le strutture di peccato che in essa si annidano.
Un Dio incarnato occupa necessariamente uno spazio e un tempo, crea legami tra gli uomini (comunità) e con il mondo (corpo, materia).
Un Dio incarnato lo si raggiunge necessariamente attraverso una comunità e un cammino che valorizza il corpo e la materialità. Un Dio disincarnato si raggiunge invece per un cammino individuale e di progressivo distacco dal corpo verso la sfera dello spirito.
In questo orizzonte muovono le parole di papa Francesco sul primo annuncio: “Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti” (EG164).

Il Dio vivo al tuo fianco ogni giorno stimola il catechista ad adoperarsi non solo per percorsi formativi che abbiano, come obiettivo ultimo, l’esperienza – conoscenza della fede o del fatto cristiano – indubbiamente momenti importanti –, ma a proporre percorsi di crescita in umanità, che permettano di sperimentare la fede come risorsa di umanità».


Mi sembrano significative a questo proposito le parole di Matteo Truffelli, presidente dell’Azione Cattolica Italiana, che introducendo alla lettura di Incontriamo Gesù, scrive:
«Le parole di san Paolo ai cristiani di Tessalonica diventano anche per ciascuno di noi, per le nostre comunità parrocchiali, per le nostre associazioni un impegno da accogliere, scegliere e vivere: credere nella bellezza del dono della fede che opera e porta frutti copiosi nei nostri cuori, adoperarsi perché la carità sia lo stile delle nostre relazioni, annunciare la speranza nel Dio della vita e della gioia» (da Amare e far amare Gesù, approfondimento su Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia).



2.           Testimoni del Risorto.

Che cos’è la sindone?
È un’impressione tanto forte di un’immagine su una tela da rendere quella tela un segno per chi si ferma a guardarla. L’impressione di quel corpo è talmente espressiva da diventare per noi credenti un racconto, una testimonianza di qualcosa di grande e non completamente spiegabile.

Chi sono i santi?
Sono uomini e donne come noi che hanno seguito il Signore fino a rendere visibili in loro la Sua presenza e il Suo amore nei gesti, nelle parole, nello stile, a volte anche nel corpo (stigmate). Essi sono diventati annuncio del Vangelo di Gesù: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,19-20).

Ho fatto riferimento a queste due immagini impressionanti perché mi sembra che sia utile tenerle sullo sfondo mentre continuiamo a riflettere sull’annuncio. Che cosa le caratterizza entrambe?
La memoria del Cristo Risorto!
Perché parlano?
Perché qualcuno ha scritto su di loro, ha impresso su di loro la Sua immagine.

Se penso all’evangelizzazione, penso alla Chiesa che siamo noi, una Chiesa di pietre vive che si lasciano modellare il cuore da Dio, ascoltando la Sua Parola, ricevendo i Sacramenti, collaborando alla Sua missione, esprimendo nell’amore al prossimo quell’amore senza misura che riceviamo da Dio. Evangelizziamo con la testimonianza della comunione e non soltanto con belle parole, con begli strumenti, con begli incontri,… Educhiamo prima di tutto con l’esempio e poi anche con le parole; siamo annunciatori di qualcosa che a nostra volta abbiamo incontrato, conosciuto, udito, toccato, amato! (cfr. Gv 1,1-4).
Sono da tenere sempre presenti le parole di San Paolo ai Corinzi.
Nella seconda lettera alla comunità di Corinto, egli scrive:
«La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani» (2Cor 3,2-3).
La comunità è dunque un contesto testimoniante e capace di trasmettere l’annuncio; la comunità è una vera e propria lettera di Cristo!

Al numero 34, il documento della CEI – Incontriamo Gesù – afferma:
«Se tutta la comunità cristiana deve essere impegnata nel primo annuncio – che si nutre di incontri, relazioni, dialogo ed empatia – è importante sottolineare la centralità dell’impegno dei laici, proprio per la loro specifica missione di rendere presente il Vangelo nei diversi ambienti della vita quotidiana. Con questa fiducia pensiamo a uomini e donne conquistati loro per primi dalla forza e dalla bellezza del Vangelo, per cui lo irradiano con la capacità di proporre, incoraggiare e stimolare l’interlocutore, affidandosi alla sua capacità di ragionare e di accogliere».

Occorre un atteggiamento di continuo ascolto del mondo che ci circonda. Senza volgerci nostalgicamente verso un passato che non tornerà e che rischia di farci perdere la giusta via (chi mette mano all’aratro e poi si volge indietro…), forti della fede che abbiamo ricevuto, siamo chiamati a renderla accessibile all’uomo contemporaneo, usando la nostra fantasia e i mezzi a nostra disposizione per invogliare l’uomo a mettersi in ricerca del tesoro che rende bella e gioiosa la vita!

Incontriamo Gesù perché Egli cammina sulle nostre strade e non tre metri sopra il cielo, con le cuffie alle orecchie e i paraocchi per non vedere ciò che c’è intorno,…
Il Gesù che ci consegna il Vangelo è un uomo in ascolto di tutti, anche di quelli che nessuno più ascolta. Quanta importanza diamo noi adulti alle parole dei bambini, ai loro racconti, ai loro sogni,…? I bambini non si sono ancora fatti un nome, una fama, una storia nota a tutti,… non sono personaggi famosi. Fermarsi a parlare con un personaggio importante è da tutti, rendere importante un bambino, fermandosi ad ascoltarlo è da cristiani, è da discepoli di Gesù!
Ci facciamo interpellare dalle situazioni che viviamo? Oppure andiamo avanti per schemi, strette di mano, pacche sulle spalle, parole e gesti scontati, sorrisi stampati, plastificati? Come se anche noi cristiani avessimo bisogno di pubblicità per vendere il nostro prodotto e non bastasse, invece, presentarci per come siamo, felici di essere cristiani!
Dice San Gregorio Nazianzeno raccontando la sua amicizia con San Basilio Magno:
«L’occupazione e la brama unica per ambedue era la virtù, e vivere tesi alle future speranze e comportarci come se fossimo esuli da questo mondo, prima ancora d’essere usciti dalla presente vita. Tale era il nostro sogno. Ecco perché indirizzavamo la nostra vita e la nostra condotta sulla via dei comandamenti divini e ci animavamo a vicenda all’amore della virtù. E non ci si addebiti a presunzione se dico che eravamo l’uno all’altro norma e regola per distinguere il bene dal male. E mentre altri ricevono i loro titoli dai genitori, o se li procurano essi stessi dalle attività e imprese della loro vita, per noi invece era grande realtà e grande onore essere e chiamarci cristiani» (Dai discorsi di San Gregorio Nazianzeno, vescovo – Ufficio delle letture del 2 gennaio, memoria dei Santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa).

Se ci lasciamo interpellare da ciò che ci circonda, dalla vita e dalle situazioni che ogni giorno affrontiamo, noi veniamo educati e con l’aiuto dello Spirito Santo cresciamo in sapienza, età e grazia. Il documento al n. 37 fa riferimento all’esperienza della paternità e della maternità:
«In tale esperienza accade una duplice nascita: quella di un figlio e quella di una donna e un uomo che dal figlio sono generati appunto come padri e madri. Nella nascita di una creatura, ne rinascono diversamente altre due». Vengono, inoltre, messi in risalto alcuni interrogativi che può suscitare in noi l’esperienza della paternità o della maternità: «Tutto questo diviene anche soglia possibile di fede, perché un bambino con la sua semplicità e il suo abbandono può far emergere interrogativi esistenziali assopiti; può risvegliare nell’adulto atteggiamenti dimenticati, quali la fiducia, il senso di figliolanza, la gratuità, la grazia; può far riscoprire la paternità di Dio e l’atteggiamento di essere figli che dipendono da Lui anche quando siamo nel pieno delle forze. Tale consapevolezza anima la speranza: essa suppone un futuro da attendere, da preparare, da desiderare. Per questo il riscoprirsi figli, nell’esperienza della genitorialità, mette allo scoperto l’autenticità della propria vita e la rinvia alle sue origini più profonde e vere».


3.           Essere comunità per evangelizzare. Oppure: La comunione nel gruppo catechisti/educatori.

Al n. 200 il Documento Base dice così:
«L’esperienza catechistica moderna conferma ancora una volta che prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali. Infatti come non è concepibile una comunità cristiana senza una buona catechesi, così non è pensabile una buona catechesi senza la partecipazione dell’intera comunità».

Veniamo qui al punto conclusivo della riflessione: una comunità che evangelizza.
Penso sia importante recuperare questa dimensione comunitaria dell’evangelizzazione. Gesù manda i suoi discepoli a due a due (Mc 6,7), come a dire: rendete visibile quella pace, quella concordia, quella comunione che predicate! E anche il comandamento nuovo suona chiaro:
«Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35).

Come viviamo il nostro essere parte di una comunità parrocchiale?
Ci stiamo dentro con umiltà? Oppure il nostro ruolo ci ha permesso di ritagliarci un posto di rispetto, un tantino sopra a tutti gli altri?
Come viviamo il gruppo catechisti/educatori? Siamo consapevoli che la comunione tra noi è ciò che più colpisce chi ci avvicina?
La fioritura di tante iniziative in parrocchia è segno della vivacità della comunità o della difficoltà di lavorare insieme, di coinvolgersi in un progetto comune?
Ricordiamoci che siamo educatori di persone che ci vedono come punti di riferimento e che poi parteciperanno alle iniziative che proponiamo, persone che impareranno da noi a stare in chiesa, a fare comunità, a camminare insieme. La posta in gioco, come vedete, è molto alta.

Con la parola comunione si intende la pienezza della compattezza interiore della comunità, del suo crescere secondo il Vangelo.

Scrive il cardinal Martini:
«La comunione, presa come punto di riferimento dei brani neotestamentari che parlano della comunità, appare composta, a sua volta, di due atteggiamenti: la PIETAS e la BENEVOLENTIA.
La PIETAS è il senso fiducioso, affettuoso di appartenenza a una comunità.
Su tale pietà si basa la compattezza familiare e anche quella ecclesiale. È una logica che nasce dallo Spirito, è la capacità di fidarsi vicendevolmente, di appoggiarsi effettivamente gli uni agli altri, è il sentirsi portati gli uni dagli altri.
La BENEVOLENTIA verso chi ancora non partecipa a una famiglia, a una comunità, all’unità di Dio e dei profeti, è la gioia di far contenti gli altri e di andare loro incontro con l’annuncio della salvezza.
Da questi due atteggiamenti nasce la saldezza della comunione ecclesiale, la sua solidità.
I frutti concreti della COMUNIONE (fatta di PIETAS e BENEVOLENTIA), che unisce in maniera lieta e creativa il corpo della comunità, li troviamo chiaramente elencati da Paolo nella lettera ai Galati. Anzi, l’Apostolo parla di un unico “frutto dello Spirito”, che poi specifica in diversi termini (5,22).

Si tratta di atteggiamenti del cuore, interiori:
amore – cordialità, simpatia, cuore aperto;
gioia – serenità d’animo, capacità di comunicare la gioia, di consolare;
pace – capacità di portare e mettere la pace;
magnanimità – capacità di sopportare situazioni pesanti, tempi lunghi, senza stancarsi.

Si tratta di atteggiamenti delle labbra:
benevolenza e mitezza – accoglienza, gentilezza nel parlare, dignità, fiducia nella persuasione e non nella violenza, esclusione di ogni volontà di nuocere, fiducia che attraverso la comprensione reciproca, la parola persuasiva e cortese si ottiene di più che con l’opposizione.

Si tratta di atteggiamenti delle mani:
bontà, fedeltà e dominio di sé – bontà, senso del dare e del fare del bene attorno a sé, generosità, capacità di dare volentieri.

Matura è la comunità capace di produrre questo frutto dello Spirito.
L’evangelizzazione è un rendere presente il Cristo risorto attraverso la proclamazione della Parola e, al tempo stesso, attraverso un contesto di segni dello Spirito.
Non si riduce alla semplice enunciazione del fatto, ma tende a rendere presente il Cristo in un contesto percepibile; i segni dello Spirito sono le costanti della vita comunitaria, di un popolo in pienezza di comunione con Dio.
Il rapporto tra comunione ed evangelizzazione è quindi evidente: la comunità cristiana rende presente il Cristo risorto, perché ne mostra i segni in atto, il frutto dello Spirito. L’evangelizzazione è parola in azione» (C. M. Martini, Vivere i valori del Vangelo, Einaudi).


4.            Conclusione

Vorrei concludere con una citazione del beato cardinal Schuster, Arcivescovo di Milano, che lasciò un ricordo particolare ai seminaristi di Venegono:
«Voi desiderate un ricordo da me.
Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità.
La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega.
La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza.
Ma se un Santo autentico, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio.
Ricordate le folle intorno alla bara di don Orione?
Non dimenticate che il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi ma ha paura, invece, della nostra santità».
Siano queste parole un ricordo forte anche per noi che desideriamo essere cristiani, testimoni gioiosi del Risorto! [dGL]

Oggi leggi… (32)

Mc 6,14-16. Non accontentiamoci del «si dice che…» o del «somiglia tanto a…»; cerchiamo invece di andare a conoscere di persona chi è Gesù!

lunedì 19 gennaio 2015

Oggi leggi… (31)

Mc 6,6-13. Gesù ci coinvolge nella sua missione: attraverso la radicalità evangelica, portiamo al mondo la testimonianza della fiducia in Lui e nella Provvidenza.

sabato 17 gennaio 2015

Una manciata di solidarietà

Nelle scene iniziali del film western che sto guardando stasera, uno straniero entra in un paese e incrocia un uomo a cavallo che se ne va, più morto che vivo, portando sulla schiena un cartello con su scritto adios amigo. Lo straniero lo osserva mentre si allontana, lo saluta toccandosi il cappello ed entra in paese sul dorso del suo mulo.

Il primo a rivolgergli la parola è il campanaro Juan De Dios; l’uomo sembra matto, ma intanto lo accoglie con un «Benvenuto, straniero!» e gli fornisce gli elementi essenziali per cominciare a capire in quale posto è arrivato: «Qui tutti sono o molto ricchi o morti: non c’è altra scelta!».

Lo straniero prosegue finché non s’imbatte nella beffarda accoglienza di alcuni abitanti armati di pistola: «Saludos amigo!», gli dicono e, cominciando a deriderlo, lo apostrofano: «Non è prudente andare in giro fuori dai propri recinti!».
«Forse ha sbagliato strada; o forse ha sbagliato addirittura paese!».
«Secondo me, ha sbagliato a venire al mondo!».
«Se cerchi lavoro, conciato come sei, puoi fare lo spaventapasseri!».
«O chissà che non siano i passeri a spaventare lui!».

All’improvviso iniziano a parlare anche le loro pistole e il mulo, imbizzarrito, corre via in modo scomposto portandosi dietro lo straniero, costretto a scendere dalla sua cavalcatura aggrappandosi a una trave all’ingresso di una locanda.

La prima battuta dello straniero è un semplice «Salve» rivolto a Silvanito, il proprietario della locanda; l’altro, di rimando, lo accoglie con un «Salve» che suona stanco e scoraggiato. Prima di entrare a ristorarsi, appare di nuovo il campanaro che, ridendo, ammonisce lo straniero: «Così non diventerai mai ricco: tutt’al più riuscirai a morire!».

Tra il burbero e il paterno, il proprietario della locanda fa accomodare lo straniero e gli porta da mangiare e da bere.

In un paese del tutto inospitale, c’è ancora qualcuno capace di umanità.

La risposta di Silvanito, quando il suo cliente gli dice che non potrà pagargli il conto, mi avverte della differenza tra lui e gli altri; non sono i soldi che gli interessano, ma che il suo ospite non venga ucciso, che il suo destino sia diverso da quello degli altri: «Finisci di mangiare e fila! Offre la ditta, purché lasci il paese al più presto».

Come potete ben immaginare, lo straniero non obbedisce al suo nuovo amico e resta in paese col disegno di arricchirsi mettendosi tra i Rojo e i Baxter, le due famiglie che si contendono il potere.

Tutto questo mi fa pensare a come un mondo fondato solo sulle logiche di mercato e sulla sete di potere sia destinato a diventare un pericoloso cimitero e a quanto sia necessario continuare ad affermare il valore della gratuità e della solidarietà. Sono proprio la solidarietà e la gratuità, infatti, a riportare la vita nel paese dove regna la morte: man mano che il film va avanti, Silvanito si lascia coinvolgere sempre di più nelle avventure dello straniero, resistendo anche alle torture, pur di proteggerlo. Lo stesso accade al vecchio Piripero, un falegname divenuto tanto pratico nel costruire casse da morto, da prendere a occhio le misure dei suoi potenziali clienti. Anche lui si rivelerà un amico sincero e prezioso per lo straniero.

Il film che sto guardando è Per un pugno di dollari e probabilmente il titolo rimanda a ciò che muove l’azione della maggior parte dei personaggi.

Però qualcosa mi dice che il regista Sergio Leone ha voluto comunicare allo spettatore anche un altro messaggio.

Per due volte viene chiesto allo straniero: «E perché fate questo per noi?».

La prima volta, egli risponde prontamente a Ramon, lo spietato capo dei Rojo: «Per 500 dollari», porgendo la mano in attesa di riceverli.

La seconda volta, invece, alla povera famiglia che ha liberato dalle mani dei Rojo e a cui ha dato dei soldi sufficienti a vivere tranquilli per un pezzo, egli risponde: «È una storia troppo lunga da raccontare ora», spingendoli con forza a uscire dal paese.

Quest’ultima risposta e i personaggi di Silvanito e Piripero fanno emergere tra tanta violenza una possibilità di cambiamento e di salvezza a partire dalle buone relazioni tra gli uomini. Senza le buone relazioni, infatti, il film e la storia umana si ridurrebbero soltanto a un susseguirsi di lutti e violenze.

Se vogliamo salvare il nostro mondo, non servirà armarci di una pistola, né sarà utile possedere qualche dollaro in più; sarà necessario, invece, mettere nelle nostre azioni una manciata di solidarietà e gratuità! [dGL]

Oggi leggi… (30)

Mc 6,1-6. Lo Spirito Santo ci aiuti a riconoscere Dio nell’umiltà dell’uomo Gesù, perché l’incredulità ceda il posto alla fede ed Egli si senta a casa.

venerdì 16 gennaio 2015

Oggi leggi… (29)

Mc 5,21-43. Non importa se intorno c’è incredulità e derisione. Se tu credi in Lui, Gesù compirà per te il miracolo e sarà stupore e gioia per tutti!

giovedì 15 gennaio 2015

Oggi leggi… (28)

Mc 5,1-20. Il peccato lega e isola; Dio viene a liberare, a guarire e a farci comunità di fratelli. Va’ e annuncia la Sua misericordia!

mercoledì 14 gennaio 2015

Oggi leggi… (27)

Mc 4,35-41. Tu sei sempre con noi, sul mare calmo o in tempesta. Perché temere? Perché farsi vincere dalla paura? Tu puoi tutto, puoi tutto anche con me!

martedì 13 gennaio 2015

Diritto alla pace

C’è voluto un po’ di tempo, ma alla fine è uscito il termine corretto: alla radio si parla di diritto alla blasfemia riguardo alle vignette finora etichettate come satiriche.

Da un lato sono contento perché all’orecchio dell’ascoltatore non sarà sfuggita la differenza fonetica tra blasfemia e satira; dall’altro lato, però, sono dispiaciuto per l’accostamento di due termini che non si sposano tra loro, fanno fatica a convivere e forse a malapena possono vedersi e salutarsi: diritto e blasfemia.

Un diritto mi fa pensare a qualcosa di buono per la vita, a qualcosa che va garantito e difeso fino alla morte, a qualcosa di irrinunciabile perché, senza di esso, la vita sarebbe ferita gravemente.

La blasfemia, invece, mi fa pensare alle bestemmie urlate per le piazze, ad atti che si compiono in momenti di rabbia o di disperazione e di cui poi ci si pente o ci si vergogna, ad azioni non belle che offendono la sensibilità di chi le subisce o vi assiste. La blasfemia è una forma di violenza e, come tale, genera malumori e tensioni, incattivisce, offende, non è simpatica e tantomeno può suscitare una sana risata.

Non esiste un diritto alla blasfemia, ma esiste, e dovrebbe essere universalmente riconosciuto, il diritto alla pace.

È attorno al diritto alla pace che dobbiamo stringerci cristiani, musulmani, ebrei, credenti di qualsiasi confessione religiosa e non credenti.

Il diritto alla pace deve essere ciò che muove le nostre scelte;
il diritto alla pace deve richiamarci al rispetto dell’altro e delle sue opinioni;
il diritto alla pace deve suscitare in noi sentimenti di solidarietà nei confronti di chi vive in situazioni di guerra o di terrore;
il diritto alla pace deve farci scendere in piazza a Parigi e in tutto il mondo per manifestare quanto è importante la libertà di parola, la libertà di ogni uomo.

Sul diritto a offendere non ci capiremo mai e saremo sempre discordi; noi, animati da un forte desiderio di pace, scegliamo di essere promotori del diritto a benedire ogni uomo! [dGL]

Oggi leggi… (26)

Mc 4,33-34. La parabola ti invita a pensare, ti smuove dalle certezze e dalle cose date per scontate, ti mette in gioco perché tu possa iniziare a camminare!

lunedì 12 gennaio 2015

Oggi leggi... (25)

Mc 4,30-32. Forse il primo passo ci sembra così insignificante da non farlo; ma un cammino inizia sempre con un primo passo... Fidiamoci di Gesù!

sabato 10 gennaio 2015

Oggi leggi… (24)

Mc 4,26-29. Il seme scompare tra le pieghe della terra, ma a suo tempo l’occhio paziente si colorerà al biondeggiare dei campi per la mietitura.

venerdì 9 gennaio 2015

Oggi leggi… (23)

Mc 4,21-25. Se facciamo spazio alla Parola di Dio, i suoi doni saranno abbondanti: essa farà fiorire la nostra vita!

giovedì 8 gennaio 2015

Oggi leggi… (22)

Mc 4,13-20. La Parola di Dio è seme buono e potente, ma è necessaria la libera accoglienza da parte del terreno perché possa portare frutto.

mercoledì 7 gennaio 2015

Oggi leggi (21)

Mc 4,10-12. Stare con Gesù ci fa trovare le risposte alle domande che ci accompagnano nell'esistenza; ci fa vedere con occhi nuovi ciò che ci circonda.

martedì 6 gennaio 2015

Vita!

Da lontano mi raggiunge la voce del mister durante una partita di calcio.

Avevamo un bel vantaggio sulla squadra avversaria e la vittoria era già assicurata. Eppure il nostro allenatore continuava a urlare come se la partita fosse appena iniziata; camminava su e giù a bordo campo e ci incitava senza interruzione ad attaccare con impegno, con grinta, con grande intensità!

In questo momento non mi trovo su un campo di calcio.
Sono in una chiesa e sto partecipando a una veglia di preghiera.
La chiesa è stracolma: in tanti hanno desiderato essere presenti per salutare Debora, una giovane ragazza, un’amica, una figlia, una sorella in Cristo.

Mi chiedo perché le parole del mister mi tornino in mente proprio ora, visto che sono passati più di quindici anni da quella partita.

I pensieri, però, sono così: ti si presentano e, a volte, ti sembra che non c’entrino nulla con quello che stai vivendo. Se, però, provi a scacciarli e loro non se ne vanno, cominci a considerare la possibilità che non siano venuti per distrarti, ma per aiutarti.

Nella chiesa c’è un grande raccoglimento.
Il canto e la preghiera comunitaria ci uniscono, comunicandoci il calore di un abbraccio; nei momenti difficili ti accorgi di come la preghiera sia davvero la luce che ti permette di recuperare la speranza, di rialzarti e riprendere il cammino.

La veglia prosegue e viene proclamata la Parola di Dio, il sacerdote la spezza perché scenda meglio nel cuore e ci doni un po’ di conforto nella notte. Tra una lettura e l’altra, sento ancora la voce del mister: ci sta incoraggiando ad attaccare, a non fermarci, a giocare fino alla fine…

Non è la prima volta che la morte mi porta a riflettere sulla vita.

La vita è un dono meraviglioso, ma può capitare di darlo per scontato o di non apprezzarne fino in fondo il valore. Penso al tempo che perdo o impiego male ogni giorno; penso alle cose futili che mettono a rischio le relazioni con chi mi sta intorno; alla tristezza da cui mi lascio prendere quando le cose non vanno o non sono come vorrei; al disimpegno, alla pigrizia, ai litigi inutili, ai sospetti, ai pregiudizi, alle lamentele,…

Quando penso alla morte, tutto sembra fermarsi e riprendere la sua giusta dimensione; è come se per un momento mi si aprissero gli occhi e mi fosse concesso di vedere chiaro l’essenziale.

È allora che lo Spirito Santo mi ricorda l’invito evangelico a non temere, a riprendere fiducia, ad amare, a vivere in un modo diverso, in un modo del tutto nuovo: alla maniera del Risorto!

Le tenebre della morte sono state squarciate definitivamente dalla Risurrezione di Cristo! La morte non è l’ultima parola: noi risorgeremo!

Cari amici, siamo tutti chiamati a vivere il nostro tempo prendendoci cura gli uni degli altri! A chiedercelo è Dio che ci dona la vita; a chiedercelo sono i nostri genitori, i nostri fratelli e tutti gli amici che, con il loro affetto, rendono più belle le nostre giornate; a chiedercelo con forza e a sostenerci sono anche tutti quegli amici e fratelli che ci hanno preceduto nel passaggio dalla Chiesa terrestre alla Chiesa celeste. [dGL]