lunedì 26 marzo 2012

Incontro con gli educatori

Dal Vangelo secondo Marco (4, 35-41)
In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: «Passiamo all'altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Oggi non ho intenzione di proporvi un incontro su come impostare l’azione educativa o sulle tecniche di animazione di un gruppo. Desidero solo condividere con voi un brano del Vangelo che quest’anno mi sta accompagnando. Penso, infatti, che essendo cristiani ed essendo animati dallo stesso desiderio di comunione con Dio, riceviamo da Lui, se gliela chiediamo con fede, la sapienza necessaria per farci prossimi alle persone che incontriamo: siano essi i nostri familiari, i nostri fratelli in Cristo, i ragazzi che ci sono affidati, gli uomini e le donne con cui entriamo in relazione come preti, suore, consacrati, catechisti, catechiste, educatori, educatrici, animatori, animatrici.

Nel rispondere ogni giorno alla mia vocazione, cerco di tenere sempre a mente la bellissima preghiera del giovane re Salomone; nell’episodio raccontato in 1Re 3, alla domanda di Dio: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda» (3, 5), Salomone risponde: «[…] Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può né calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?» (1Re 3, 7-10). Penso sia una preghiera che possiamo fare nostra, perché spesso non ci sentiamo adeguati alle situazioni che ci troviamo ad affrontare. Se, però, cominciamo a prendere coscienza che siamo continuamente alla presenza del Signore, troviamo pace sapendo che tutto è nelle sue mani (Sal 15) e che Egli provvede alle esigenze, alle necessità del suo popolo. Noi gli apparteniamo, siamo preziosi ai suoi occhi ed Egli ci custodisce!

«Passiamo all’altra riva» (4, 35). Coloro che seguono Gesù sono i discepoli, quelli che stanno con lui (Mc 3, 14: «Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare»). Essi sentono il desiderio di stare con Gesù, come noi quando vorremmo trascorrere ore interminabili con qualcuno (Mc 1, 36: «Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce»; Gv 6, 67-69: «Disse allora Gesù ai Dodici: “Volete andarvene anche voi?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”»). I discepoli desiderano corrispondere al desiderio di Gesù: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione» (Lc 22, 15). È stato Lui a chiamarli ed essi hanno imparato a conoscerlo, riconoscendo gradualmente quel desiderio di gioia, di comunione, di vita piena che c’è nel nostro cuore.

«Lo presero con sé, così com’era, nella barca» (4, 36). Nella vita siamo in cerca di un equilibrio, di una stabilità, di una felicità duratura, imperturbabile, ma, forse, aiutati anche dalla nostra esperienza marittima, abbiamo intuito che sulle onde non si è mai troppo stabili e questo equilibrio non sarà mai assenza di desiderio, di sacrificio, di una croce da portare. Forse egoisticamente desideriamo una vita senza alcun tipo di preoccupazione, richiesta dall’esterno, fatica,… ma la barca, anche su un mare calmo, non può far a meno di muoversi galleggiando. Prima o poi, la nostra pretesa di stabilità diventa qualcosa che ci turba o ci rende impazienti di fronte alla realtà che dobbiamo affrontare.

A volte, accetto di stare sulla barca, ma con riserva: voglio essere io il comandante, quello che imposta la rotta, quello che pianifica la sua vita dall’inizio alla fine. Così, però, vivo con fastidio tutto ciò che esce dal programma. Questo mi rende difficile affrontare un’eventuale tempesta, un qualche imprevisto. Costruisco un bel progetto pastorale, lo studio nei minimi dettagli, mi confronto con gli altri educatori e poi, nel bel mezzo della navigazione, mi accorgo che la nave fa fatica, i ragazzi non seguono il discorso, la proposta va registrata meglio,… Stabilità, equilibrio è trovare la forza per ritornare ad ascoltare, ritrovare la disponibilità e la docilità necessarie per ripensare un cammino già pianificato; è avere pazienza nei confronti della lentezza di chi percorre la strada con noi.

«Ci fu una grande tempesta di vento» (4, 37). Quando ci coglie la tempesta? Quando siamo particolarmente stanchi, provati, quando le condizioni esterne sono sfavorevoli e non ci consentono di sperare, quando siamo annoiati da ciò che continuiamo a fare per abitudine, quando ci sentiamo oppressi, incompresi, non ascoltati, quando permettiamo all’impazienza di vincere e di condizionare il nostro modo di relazionarci con le persone che incontriamo. La nostra barca sembra, allora, riempirsi inesorabilmente di acqua e non ce la fa a prendere il largo per arrivare all’altra riva.

La tempesta ci spaventa, la mancanza di vie di fuga, di un approdo a cui attraccare, ci blocca. Restiamo fermi senza più sapere cosa sia meglio fare. È allora che nel completo disorientamento, svegliamo il Signore perché si accorga della situazione e ci salvi.

«Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva» (4, 38). Gesù dorme tranquillo in una barca agitata dentro e fuori! Emerge un netto contrasto tra il comportamento di Gesù e quello dei discepoli. Nel Vangelo di Marco, prima dell’episodio della tempesta sedata, c’è il Battesimo di Gesù, con la manifestazione dello Spirito e la voce dal cielo (1, 9-11), c’è la guarigione di un indemoniato a Cafarnao (1, 21-28), c’è la guarigione della suocera di Pietro (1, 29-31), ci sono molti altri miracoli (1, 32-34), c’è la guarigione di un lebbroso (1, 40-45) e quella di un paralitico (2, 1-12), c’è la guarigione di un uomo dalla mano paralizzata (3, 1-6). Al momento di passare all’altra riva, Gesù non è, dunque, uno sconosciuto per i discepoli che sono con lui. Essi hanno intuito che è un Maestro straordinario: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!» (dopo la guarigione di un indemoniato a Cafarnao: 1, 27); «Non abbiamo mai visto nulla di simile» (dopo la guarigione del paralitico a Cafarnao: 2, 12). I Dodici hanno fiducia in lui ma la paura non consente loro di valutare ciò che sta accadendo. Anche a noi capita di svegliare Gesù; lo preghiamo con insistenza ma sembra dormire tranquillo, sembra non essere interessato. Arriviamo a convincerci che non si prenda a cuore i nostri bisogni, la nostra vita: come si può dormire in una tale tempesta?

Come i discepoli, rischiamo continuamente di perdere di vista un particolare importante, rivoluzionario: Gesù è sulla barca e dorme. Non basta notare che sta dormendo tranquillo a poppa, non basta fermarsi a considerare che non interviene, dobbiamo fissare l’attenzione sulla sua presenza a bordo. Gesù sta sulla mia barca! A me questo dice davvero tanto! Non è sulla riva a guardarmi mentre sono in balìa delle onde, sta proprio lì con me; l’affondamento della barca sarebbe un problema anche per Lui che ha deciso di condividere con me la Sua vita. È qui che trovo la stabilità, l’equilibrio, la giusta dimensione delle cose, la rotta da seguire. I discepoli seguono il Maestro, è Lui a decidere la strada da percorrere, è Lui a fare l’andatura. E questo pastore è talmente buono che si preoccupa di ogni pecorella come se fosse l’unica. Chi lascerebbe novantanove pecore nel deserto – un vero capitale – per tornare indietro a cercarne una? Solo Lui o uno dei Suoi discepoli!

«Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (4, 38). Gli importa eccome! Questa tempesta atmosferica mi fa pensare alla tempesta della Passione vissuta da Gesù e dai Suoi discepoli. Nel Vangelo di Luca ci sono due versetti che è essenziale custodire come un tesoro perché testimoniano l’amore di Gesù per la vita di ciascuno di noi, ci tolgono ogni dubbio sui pensieri di Gesù nella tempesta: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (22, 31-32). Nelle prove che affrontiamo quotidianamente, Gesù ci vede e ci sostiene con la preghiera; in termini sportivi, Gesù fa il tifo per noi, ci incoraggia a non fermarci, a sostenerci gli uni gli altri, ad amare questa vita!

«Minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”» (4, 39). La parola di Gesù è autorevole ed efficace: «Il vento cessò e ci fu grande bonaccia» (4, 39). L’esperienza segna un momento di crescita, è educativa per i discepoli. E Gesù non perde l’occasione favorevole per spostare la loro attenzione su ciò che è alla base dell’esperienza del discepolato. Lo fa con una domanda perché ciascuno possa prendere coscienza di ciò di cui ha bisogno, di cosa è mancante: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (4, 40). La fede in Gesù vince le nostre paure, anche quelle motivate da vere e proprie tempeste. Punto di partenza per il cristiano è l’incontro con Gesù, è un affidamento a Lui. Quando seguo una persona di cui mi fido, cerco di attenermi ai suoi insegnamenti, le faccio spazio nella mia vita. Qui non si tratta di seguire un personaggio famoso, di diventare fan di qualcuno. Si tratta di scegliere la Vita, Colui senza il quale forse posso sopravvivere, ma certo non posso vivere!

«Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» (4, 41). Il miracolo a cui hanno assistito, suscita una domanda sull’identità di Gesù. Solo Dio ha il potere di comandare al vento e al mare, alle forze della natura. L’esperienza di Dio stupisce e fa crescere il desiderio di conoscerlo meglio, di continuare il cammino.

Nella vita del cristiano e ancora più in quella dell’educatore, non possono mancare l’amicizia con Gesù, l’Eucaristia, l’ascolto della Parola di Dio nella meditazione ma anche nella lettura continua del Vangelo o della Bibbia, la carità e il servizio gratuito ai fratelli.

Occorre cominciare a pensare una regola di vita per non essere soggetti alle emozioni del momento; non basta fermarsi al “mi piace”. Amore non è soltanto trasporto spontaneo; c’è bisogno di fedeltà, coraggio, responsabilità e disponibilità al sacrificio!

Nel percorso abbiamo, inoltre, bisogno di una guida che ci aiuti a fare discernimento, uno che sia sempre pronto a incoraggiarci ad alzare lo sguardo verso Gesù che chiama e cammina con noi! Scegliamo un padre spirituale a cui confidare ciò che viviamo, un uomo di fede sempre in ascolto di Dio e degli uomini; non uno che prenda le decisioni al posto nostro, ma uno che ci aiuti a incontrare Gesù nella nostra storia. [dGL]

venerdì 23 marzo 2012

Gioia

Essere tristi è segno di te, o Signore,
un segno che ci manchi;
e noi neppure lo sappiamo;
la mancanza di gioia
è segno della tua assenza;
uomini o chiese senza gioia
sono uomini e chiese senza di te, Signore;
Dio, fonte della gioia,
guida i nostri passi sulla tua via,
perché possiamo giungere dove tu ci attendi,
e là finalmente cantare
solo canti di gioia.

[p. David Maria Turoldo, Lungo i fiumi…]

giovedì 22 marzo 2012

Ricordo e felicità

Se sai ricordare solo quello che è successo di male,
la felicità ti sarà sempre sconosciuta! [A. Tarkovskij, Andrej Rublev]

mercoledì 21 marzo 2012

Se il chicco di grano…

«Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12, 21).

Nelle parole di alcuni Greci trova espressione il desiderio di ognuno di noi; siamo alla continua ricerca di Dio, vogliamo vedere il Suo volto, conoscerlo, stare con Lui, trovare riposo e ristoro alla Sua presenza.

Questo desiderio, proprio di ogni uomo, a volte è manifesto e si esprime in una domanda esplicita (Gv 1, 38; Gv 3; Gv 4, 15; Mc 9, 5; Mc 10, 17; …), spesso, però, resta nascosto da altri desideri nelle persone che incontriamo. I Greci si rivolgono a Filippo perché sanno che è un discepolo o forse perché hanno riconosciuto nel suo stile la persona del Maestro.

Gli uomini vengono a cercare noi cristiani perché dovremmo essere, come i discepoli, i più vicini a Gesù, i Suoi amici, quelli che stanno sempre con Lui. Gli uomini cercano in noi qualcuno che li accompagni a incontrare Gesù, qualcuno che, ascoltandoli pazientemente, li aiuti a mettere ordine nella loro vita e a prendere coscienza di ciò che realmente desiderano: vedere Gesù, conoscerlo, essere in comunione con Lui.

Filippo cerca Andrea e insieme vanno da Gesù a presentare la richiesta dei Greci. Gesù indica loro la via: volgere lo sguardo verso di Lui, lasciarsi attirare da Dio crocifisso per amore, essere quel chicco di grano… Ogni vita donata è quel chicco di grano che nel silenzio cade a terra, muore e vive, produce frutto, vita nuova!

La primavera mi ha reso un po’ più attento alle piante, agli alberi, alla pazienza e alla fede dell’agricoltore che getta il seme e, quando germoglia se ne prende cura, anche se ci vorranno anni perché la pianta possa crescere e dare frutto.

Ascoltando questa pagina di Vangelo (Gv 12, 20-33), occorre riconoscere che spesso rischiamo di guardare il mondo e il nostro essere cristiani dalla parte sbagliata perché dimentichiamo o fuggiamo la morte.

Non ci piace morire.

Morire fisicamente è inevitabile; ma la morte di cui parla il Vangelo richiede la volontà, il desiderio di morire a se stessi per amore di Gesù. È un morire che fa vivere: «Se il chicco di grano, caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12, 24-25).

A queste parole, io mi fermo e penso che dovrei essere contento di stare sotto il torchio o sotto la macina per essere pigiato o macinato per produrre vino o farina e, invece, mi ribello, resisto, divento impaziente, fuggo lontano.

In questa Quaresima mi rincuora quella luce accesa nelle stanze ordinate e pronte per la benedizione; per le persone che incontro quotidianamente, infatti, sono Filippo, Andrea o qualcun altro dei discepoli. Sono ancora uno a cui si può chiedere senza paura o vergogna: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12, 21).

Il Maestro chiama ciascuno a condividere la Sua Pasqua: «Se uno mi vuole servire,  mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore» (Gv 12, 26). Mi pare che, alla luce del Vangelo, si potrebbe anche dire così: se uno vuole vivere, mi segua e dove sono io, nella piena comunione con il Padre, là sarà anche lui!

Alzo gli occhi verso la croce e mi sento attirato dall’amore di Dio, intuisco l’importanza e la bellezza di restare lì, con Lui. E nei momenti difficili, quando la croce si farà pesante, mi soccorreranno le parole di Geremia: «Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» (Ger 31, 33).

Noi apparteniamo al Signore; se ci abbandoniamo fiduciosi tra le Sue braccia, Egli ci custodirà per sempre (Eb 5, 7-9)! [dGL]

lunedì 19 marzo 2012

Avessi le ali di una colomba (Sal 55/54)

Mi dico: «Avessi le ali della colomba
potessi volare verso una terra
ove sostare tranquillo.
Ecco, vagabondo, fuggirei lontano
a cercarmi nel deserto una casa.
Potessi trovare un rifugio sicuro
al riparo dal folle vento,
dalla furia dell’uragano».

[p. David Maria Turoldo, Lungo i fiumi…]

giovedì 15 marzo 2012

Per essere felici

«Ascoltate la mia voce, e io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici» (Ger 7, 23).

Il Signore parla al Suo popolo per indicargli la via della felicità.

Mettersi in ascolto di Dio consente all’uomo di conoscerlo, di meravigliarsi per la Sua Presenza benevola e premurosa, di vivere illuminato dalla bellezza del Suo volto.

Non possiamo fare a meno di fissare lo sguardo su ciò che è bello; c’è un’attrazione quasi irresistibile e, a volte, il pensiero si perde rapito nella contemplazione. Capita nella preghiera, nella celebrazione, nell’incontro con i fratelli, ma anche durante una semplice passeggiata. Capita nell’ascolto della Sua Parola che è bella e per sempre. Essa è fonte di speranza sempre nuova e, accogliendola con fede nella nostra casa, ci dona pace, felicità, desiderio di cantare, di colorare!

Ritrovando la via del Signore, rivedendo l’Amato, siamo presi dalla voglia di far festa, di suonare e danzare per dare espressione alla nostra gioia.

Davvero è possibile far nascere in noi Gesù, avere i Suoi sentimenti, rendere buona la nostra condotta e le nostre azioni, praticare la giustizia gli uni verso gli altri,… (Ger 7, 5-7).

Davvero è fontana vivace di felicità conoscere Gesù e amare come Lui ci ha amati (Gv 13, 34-35)! [dGL]

sabato 10 marzo 2012

Pace

Quando leggo la Parola di Dio, ci sono frasi che brillano di una luce particolare, sembrano essere scritte per me, per la storia in cui vivo.

Stamattina, pregando lungo la riva del mare, sono stato illuminato dal versetto di un salmo che è sempre stato lì, ma solo oggi ha toccato coi suoi raggi i miei occhi: «Lo irritarono anche alle acque di Merìba e Mosè fu punito per causa loro, perché avevano inasprito l’animo suo ed egli disse parole insipienti» (Sal 105/106, 32-33).

Il salmista ricorda l’infedeltà del popolo d’Israele, i suoi peccati. Mosè aveva tutte le ragioni per essere irritato e avere l’animo inasprito, eppure fu punito per le sue parole insipienti.

Questa Parola mi richiama alla pace che il Signore ci dona, una pace che non dipende dalle condizioni esterne a noi ma dalla fede in Lui, Padre buono che ama senza misura ciascuno dei Suoi figli. Se in noi abita lo Spirito del Signore, se siamo Suoi amici, diremo parole che sanno di fede, speranza, carità, parole così vive da far risorgere, rifiorire! [dGL]

giovedì 8 marzo 2012

Il cristiano

Invece di parlare a lungo di tutti coloro che non possono vivere senza di lui, il cristiano è convinto che se egli stesso vuole vivere, ha bisogno in ogni momento, in ogni minuto di quel Dio senza la volontà del quale nessun passero cade a terra, e senza il quale assolutamente nessuno può nascere né vivere. […] Egli è convinto che in ogni momento ha bisogno del perdono di Dio misericordioso. […] Egli crede che anche se Cristo avesse scelto per discepoli non degli umili, ma dei potenti, costoro avrebbero dovuto cominciare con il farsi umili per essere suoi discepoli. [S. Kierkegaard, Discorsi cristiani]

martedì 6 marzo 2012

Vita eterna

La vita eterna consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi. Sarà una comunione di spiriti estremamente deliziosa, perché ognuno avrà tutti i beni di tutti gli altri beati. Ognuno amerà l’altro come se stesso e perciò godrà del bene altrui come proprio. Così il gaudio di uno solo sarà tanto maggiore quanto più grande sarà la gioia di tutti gli altri beati. [San Tommaso d’Aquino]

domenica 4 marzo 2012

Eccomi!

Siamo su una strada proprio come Abramo, proprio come i discepoli! Camminiamo sulle orme del nostro Maestro e vederlo procedere davanti a noi ci incoraggia, ci sorregge nella fatica, ci rende lieti.

Abramo si è fidato di Dio, ha risposto alla Sua Parola; è uscito dalla terra in cui viveva e si è messo in viaggio senza sapere il luogo preciso dove il Signore lo avrebbe condotto: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12, 1). Basta la Parola di Dio per partire.

Anche nell’episodio del sacrificio di Isacco (Gen 22), il patriarca si mette in viaggio verso il territorio di Moria ma non sa su quale monte dovrà compiere il sacrificio. Eppure, ancora una volta, il suo «Eccomi!» (Gen 22, 1) corrisponde a una effettiva disponibilità a obbedire alla volontà di Dio.

Rispondere alla vocazione non astrae Abramo e i discepoli dalla loro storia, dalla vita quotidiana, dalle loro relazioni; Abramo continua, infatti, ad avere una moglie, un figlio, delle persone a cui deve rendere conto del suo agire,… Isacco si rivolge a lui chiamandolo «Padre mio!» (Gen 22, 7) e lui gli risponde: «Eccomi, figlio mio» (Gen 22, 7) esprimendo la sua paternità, il suo affetto per il figlio che gli è stato donato e che si avvia a sacrificare. Così, i discepoli non possono fermarsi sul monte della Trasfigurazione ma devono scendere e tornare tra la gente, condividere con loro gioie e fatiche di ogni giorno. L’esperienza di Dio che fanno, però, trasfigura la loro quotidianità, illumina le croci di ciascuno, anticipa la gioia della Risurrezione!

Il discepolo vive una relazione di fiducia, si fida del Maestro. Seguire Gesù, vivere il Vangelo, fare la volontà di Dio non ci consentirà di conoscere tutto ciò che accadrà domani, né di pianificare la nostra vita secondo uno schema perfetto, senza imprevisti; ma ci permetterà di vivere l’OGGI sapendoci custoditi, guidati, amati da Qualcuno. Questa fede in Dio dona pace all’uomo. Essa, infatti, non dipende dalle condizioni più o meno favorevoli in cui ci troviamo a vivere, ma dalla nostra fiducia in Lui che ci tiene nelle Sue mani (Sal 15/16). Se conosciamo il Suo amore per noi, non ci sentiremo soli e abbandonati nella valle oscura; non saremo bloccati davanti alla prospettiva della croce da abbracciare ogni giorno; non ci scoraggeremo nell’ora della prova, ma sapremo alzare gli occhi per fissare il Suo volto e ritrovare forza!

Noi cristiani non sappiamo che cosa accadrà nel nostro futuro immediato, ma sappiamo di camminare alla presenza del Signore, di essere guardati da Lui con benevolenza, di essere destinati alla vita eterna!

La mèta del discepolo non è il territorio di Moria, né il luogo del sacrificio ma la benedizione di Dio, la Sua alleanza, la Sua promessa di vita per sempre. Possiamo salire a Gerusalemme e portare la nostra croce solo se ci fidiamo di Dio, se accogliamo la Sua Parola per noi, se rispondiamo «Eccomi!» alla Sua vocazione a essere figli nel Figlio; in Gesù diventiamo anche noi figli amati: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (Mc 9, 7).

La buona notizia oggi è che, dopo essere saliti sul monte, non siamo noi a dover fare un sacrificio ma scopriamo che è Dio stesso che ha provveduto a trovare l’agnello da immolare (Gen 22, 8. 13), è Dio stesso che ci regala un’esperienza bellissima: guardare il Suo volto trasfigurato, è Dio stesso a salire sulla croce per la nostra salvezza.

E ringrazio Pietro perché con semplicità ci tramanda il sentimento comune dei tre discepoli, così simile alla gioia che c’è in noi quando siamo in comunione con Dio, quando Lo incontriamo: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia» (Mc 9, 5). [dGL]

venerdì 2 marzo 2012

Pensiero

Talora si perde il mio pensiero
se il Tuo non lo soccorre. [M. Luzi, La Passione. Via Crucis al Colosseo]